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Negli ultimi giorni, anche a seguito delle polemiche scaturite dall’intervento sui social del noto politico Beppe Grillo, è tornato in evidenza il problema della diffusione, purtroppo sull’intero territorio nazionale, di innumerevoli episodi di violenza di genere che, nonostante la recente previsione del c.d. Codice Rosso”, popolano - quasi quotidianamente - le cronache giudiziarie del nostro paese.

Trattasi di una tematica che, già a partire dal D.lg. n. 11 del 2009, è stata oggetto di molteplici interventi normativi, con cui sono stati introdotti (altrettanti) strumenti di tutela in favore delle vittime di violenza domestica e di genere, fino alla recente disciplina contenuta nella legge n. 69 del 19 luglio 2019.

Ed invero, con il testo normativo del 2009, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, oltre ad essere stato previsto il reato di “atti persecutori” (c.d. “stalking”, art. 612 bis c.p.) e l’aggravante per l’omicidio commesso dallo stalker, sono stati - altresì - inseriti tutta una serie di strumenti in favore delle vittime di atti persecutori, quali - a titolo esemplificativo - la possibilità di ottenere l’ammonimento dello stalker da parte del questore, la previsione della misura cautelare del divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.) o, ancora, l’obbligo per le forze dell’ordine, per i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono la notizia di reato, di fornire informazioni alle vittime sui centri antiviolenza esistenti sul territorio, con l’introduzione per le dette persone offese di un apposito numero verde in loro supporto (nr. 1552, istituito presso il Dipartimento per le Pari Opportunità).

Inoltre, nel 2013, è stato modificato il termine per la proposizione della querela inerente il sopracitato reato di stalking (che da tre mesi è passato a sei mesi) e sono state, altresì, introdotte sia la possibilità di procedere ad intercettazioni quando si indaga per questo reato, che l’opportunità di assumere la testimonianza, di minori e adulti particolarmente vulnerabili, attraverso modalità protette.

A ciò si aggiunga che, grazie alla legge n. 4/2018, le unioni civili e i rapporti di convivenza basati su una relazione affettiva stabile sono stati equiparati, con riferimento ai crimini domestici, ai rapporti di coniugio.

Ebbene, in questo complesso quadro normativo si è inserita la sopracitata legge n. 69/2019, la cui novità più rilevante è, certamente, rappresentata dalla previsione di un canale privilegiato per la trattazione delle indagini inerenti i reati di violenza domestica e di genere, con l’immediata instaurazione di un procedimento al fine di pervenire, nel più breve tempo possibile, all’adozione di provvedimenti “di protezione o di non avvicinamento” in favore delle vittime dei detti reati.

Ed invero, attraverso l’art. 347 c.p.p. si è introdotta una presunzione assoluta di urgenza che impone alla P.G. di comunicare la “notitia criminis” al P.M. senza ritardo (anche in forma orale), con la conseguenza che alla comunicazione dovrà seguire, con altrettanta immediatezza, l’iscrizione della notizia di reato nel registro, con l’eventuale indicazione del nome dell’indagato.

Ma vi è di più, poiché in forza dell’art. 362 c.p.p., quando si procede per i delitti di cui sopra, il P.M. dovrà provvedere all’audizione della persona offesa e di chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o di riservatezza delle indagini (anche nell’interesse della persona offesa); inoltre, è stata prevista l’estensione dei diritti di informazione in favore delle stesse vittime -e dei loro difensori - al fine di consentire alle dette p.o. di provvedere alla propria salvaguardia, anche attraverso la specifica previsione di percorsi psicologici con la finalità del loro recupero.

Altra novità è quella riguardante la previsione di nuove fattispecie incriminatrici, di cui le più rilevanti sono certamente il delitto di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, previsto al fine di contrastare il sempre più diffuso fenomeno del c.d. revenge porn (consistente nella diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone che vi sono rappresentate e indipendentemente da qualsiasi finalità ulteriore) ed il reato di “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” (art. 583-quinquies c.p.), oltre all’inasprimento del trattamento sanzionatorio di alcuni reati già esistenti, come nel caso del delitto di “maltrattamenti in famiglia” ex art. 572 c.p., la cui pena è stata ritoccata verso l’alto (adesso va dai tre ai sette anni di reclusione) o della “violenza sessuale di gruppo”, per cui è stata prevista la pena della reclusione dagli otto ai quattordici anni (mentre in precedenza andava dai sei ai dodici anni di reclusione).

Inoltre, anche con riferimento al reato di “atti sessuali commessi con minorenne”, disciplinato dall’art. 609 quater c.p., è stato inasprito il trattamento sanzionatorio attraverso l’introduzione, al suo terzo comma, di una nuova ipotesi di atto sessuale compiuto con minore consenziente “in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi”.

Tutto ciò premesso occorre evidenziare come, mentre il reato di “maltrattamenti in famiglia” risulta essere procedibile d’ufficio, il reato di “violenza sessuale” (anche aggravata, ex art. 609 ter c.p.) è - viceversa - punibile a querela della persona offesa, da presentare nel termine di 12 mesi (querela che, una volta presentata, non potrà più essere revocata).

Sul punto, pare doveroso sottolineare come anche il reato di “atti persecutori” sia punito a querela della persona offesa (da proporre nel termine di sei mesi) che, a differenza di quanto illustrato in merito al reato di violenza sessuale, potrà essere oggetto di remissione, ma solo all’interno del processo (anche se, come nel caso del reato di violenza sessuale, anche il reato di stalking diviene procedibile d’ufficio in alcuni casi, come - ad esempio - quando la vittima sia un minore o un soggetto disabile).

Infine, ultimo tema da affrontare (poiché ultimamente molto dibattuto) risulta essere quello del consenso della persona offesa: ebbene, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il consenso della vittima di violenza deve essere totale, pieno e deve permanere per tutta la durata dell’atto, da ciò discendendo che ci sarà violenza se il rapporto inizia in modo consensuale ma, durante l’atto, uno dei due revoca il consenso e chiede di smettere, mentre l’altro prosegue con la forza.

Conseguentemente, integrerà il reato di cui all’art. 609 bis c.p., la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, così come non assume - necessariamente - valore scriminante la circostanza che la vittima non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca passivamente, quando è provato che l’autore, per le violenze o minacce precedentemente poste in essere, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito degli atti sessuali, né rileva - per le medesime ragioni - l’eventuale espressione del consenso, manifestato dalla vittima, allorquando è dimostrato che la sua volontà sia stata coartata dal timore di subire conseguenze ben più pregiudizievoli dell’atto sessuale impostole.

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